Ricordando Ugo Borlenghi

Mentre scrivo queste righe in memoria di Ugo Borlenghi, amico ed artista a tutto tondo, apprendo che a Fiorenzuola d’Arda, sua città natale e dove ha promosso per tanti anni eventi d’arte sia nel Foyer del Teatro Verdi che nel suo atelier I sassi, gli viene dedicata una mostra fotografica e di sculture, a cura di Mariella Rosi.
Lo scorso marzo mi era giunto un laconico messaggio da Stefano Sichel, direttore del Laboratorio d’arte Transvisionismo di Castell’Arquato: -Purtroppo questa mattina Borlenghi ci ha lasciato-. Ho subito ripensato agli ultimi due incontri con l’artista, peraltro da tempo sofferente.

U. Borlenghi, Forme Silenti, La pietra racconta, fusione in bronzo.

Nel marzo 2018, nell’ambito della Mostra degli artisti contemporanei della Permanente di Milano aveva esposto un dipinto smagliante nella diffusa luce di un sole che tramonta. Il titolo, Ultima luce, mi sembrò avesse già sentore di un addio, anche se il colore intenso dell’arancione era di fatto rasserenante, quasi gioioso. E gioiosa fu la reazione di Borlenghi allorchè uno dei maggiori quotidiani scelse proprio quel dipinto per pubblicizzare l’evento #urbanart della Permanente. Nell’ottobre dello stesso anno in occasione di una rassegna nella Galleria del Transvisionismo ebbi di nuovo modo di salutarlo. Appariva sereno ma molto affaticato. Mi voleva fare dono del libro autobiografico Tra sguardi e pensieri. Mi porse l’unica copia presente in Galleria.

U. Borlenghi al lavoro nel suo studio. Ph. Mariella Rosi – PHOTO ’20

Sfogliandolo, ho compreso come la sua arte, di cui conoscevo bene le sculture, prendesse vita da una complessità di stimoli e conoscenze. Si era infatti cimentato per diletto o per professione nella musica, nella fotografia, nel disegno e pittura. Infine l’approdo all’arte plastica nella quale ha espresso al meglio la sua creatività. Ma anche in questo ambito aveva svolto un lungo tirocinio, lavorando da giovane nella fonderia artistica dell’Arsenale Militare di Piacenza e a Cremona e collaborando poi negli anni Ottanta alla fusione di opere del cileno Sebastian Matta.

U. Borlenghi, Forme Silenti, La pietra racconta, fusione in bronzo.

Dalle iniziali sculture figurative ben presto Borlenghi si era portato ai ricordi e gesti dell’infanzia, quando sul greto dell’Arda cercava sassi e pietre modellate dal tempo e dall’acqua. Forme intrise di storia e di geologia che sono diventate poi il leit-motiv dei suoi lavori, in particolare con l’ ingresso, da socio fondatore, nel neonato movimento del Transvisionismo nel gennaio del 1995.
Teso a svolgere un’arte che andava oltre la semplice visione dell’opera verso una personale e intima riflessione, Borlenghi è giunto a cogliere il silenzio espressivo della materia, un silenzio interrotto solo da sapienti patinature sul bronzo o da lievi sfumature di colore sul legno levigato, fosse pioppo, mogano o afromosia. Sculture che egli ha intitolato “Forme Silenti”, e che, curiosamente, pur firmate e datate nel loro corpo, considerava senza data, come totem, simboli destinati alla trascendenza.

(da Che Vi Do!, periodico del Pane Quotidiano, dicembre 2020)