A Milano la prima scultura per una scienziata

Prima dell’estate i milanesi potranno ammirare in Largo Richini di fronte all’Università Statale la scultura dedicata all’astrofisica Margherita Hack (Firenze,12 giugno 1922 – Trieste, 29 giugno 2013), nella ricorrenza dei cento anni dalla nascita della scienziata. Il progetto, condotto in modo encomiabile e con grandi risorse da Fondazione Deloitte Italia, è partito con un bando destinato a scultrici donne per una statua “ al femminile”, evitando quindi criticabili opere commissionate. Vi è stato quindi il passaggio di maquette e rendering al vaglio di una folta e qualificata giuria presieduta dal critico e accademico Vincenzo Trione, con la presenza anche dell’astrofisica ricercatrice presso l’Osservatorio Astronomico di Brera , Anna Wolter. Infine il traguardo con la proclamazione dell’opera vincitrice.
La realizzazione di questo monumento – scultura è stata fortemente voluta da Fondazione Deloitte e l’AD Fabio Pompei ne ha indicato le motivazioni all’interno di una conferenza stampa presso la Casa degli Artisti. Fondazione Deloitte svolge da tempo una serie di iniziative sull’istruzione per renderla più consona alle trasformazioni dell’economia. Posto che in Italia il numero di laureati è basso rispetto alla media europea, in particolare nelle discipline scientifiche raccolte nell’acronimo STEM e dove la presenza femminile si riduce ulteriormente, questa statua e la sua collocazione diventerebbe un emblema e sprone per le studentesse universitarie.

Daniela Olivieri, Sguardo Fisico, bozzetto, 2022 credits Giancarlo Pastonchi

In Italia, donne che hanno raggiunto posti di rilievo nei campi del sapere sono numerose, ma la scelta è caduta su Margherita Hack – conferma Fabio Pompei – in quanto esempio già nel secolo scorso di donna libera e anticonvenzionale. Infatti Hack, trasportata dalla curiosità e da uno studio appassionato e continuo, non solo si è distinta come accademica nella spettroscopia ed evoluzione stellare presso l’Università di Trieste, ma è stata una proficua divulgatrice avvicinando il grande pubblico ai misteri dell’universo. Si è anche impegnata perché l’approccio alla scienza iniziasse già nelle scuole primarie. A tutto ciò aggiungeva la semplicità della sua persona, un volto sempre aperto al sorriso, la capacità di raccontarsi nella vita di tutti i giorni, dalla dieta vegetariana alla passione per la bicicletta.
Se Fondazione Deloitte donerà di fatto l’opera ai milanesi, impegnandosi negli anni a venire nella manutenzione, il progetto ha visto anche una collaborazione fattiva di Casa degli Artisti, che ha curato il concorso e dell’Ufficio Arte negli Spazi Pubblici del Comune di Milano, che ne ha individuato la collocazione nel centro storico e si sta impegnando per migliorare in generale la toponomastica nella metropoli.

Daniela Olivieri, rendering, credits Riccardo Orsini

Veniamo quindi all’opera premiata. La giuria esaminando i bozzetti delle otto scultrici si è mossa su un duplice binario, la riconoscibilità fisica della Hack e la percezione della sua scelta vocazionale. Vincitrice è risultata quindi “Sguardo fisico”, di Daniela Olivieri (Bologna, 1977), in arte Sissi, che interpreta la scienziata mentre alza le braccia verso il cielo, come se tenesse in mano un telescopio, invitando all’immaginazione, alla scoperta. I piedi poggiano su una spirale-galassia, perché tutti noi nasciamo e facciamo parte di una galassia: implicito per l’artista come nell’impegno di Hack l’invito alla fratellanza.
Daniela Olivieri è una giovane scultrice, insegna presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze ed ha conseguito numerosi riconoscimenti in campo internazionale.
Casa degli Artisti accompagnerà Olivieri nella realizzazione dell’opera in bronzo fino alla collocazione in Largo Richini. Presso il suo spazio espositivo di Via Tommaso da Cazzaniga, angolo Corso Garibaldi, 89/A , è possibile vedere, fino al 20 febbraio, tutti gli otto progetti che hanno partecipato al concorso e fra questi il bozzetto di Marzia Migliora cui è stata conferita dalla giuria una menzione speciale.

Mostra: Forme, colori e luce – Artisti ed opere

Qui di seguito alcune note circa gli artisti e le loro opere esposte nella mostra Forme , colori e luce inaugurata il 18 novembre presso l’Archivio Galleria Lazzaro Corsi – Via Cenisio, 50 – Milano

Maria Gioia Dall’Aglio, artista mantovana, ha alle spalle un curriculum di grande rilievo, con mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Già nel 2008 usciva il Catalogo generale delle sue opere, edito da Mondadori. In questi anni ho sempre apprezzato il suo stile e la sua sensibilità artistica. La sua pittura è stata definita danza di emozioni: l’artista infatti sembra procedere verso nuovi sogni e nuovi lidi, all’interno di un clima metafisico e simbolista. Metafisiche sono le solitarie architetture, misteriose e regali le figure femminili che vivono nei suoi dipinti. I panneggi che avvolgono corpi scultorei od oggetti semplificati nelle loro forme sembrano evocare il mistero e l’inconscio.

Ho conosciuto Roberto Fenocchi nel lontano 2008 e nel cuore della sua esperienza di lavoro e di arte: una bella trattoria nel centro di Villanesco di Lodi, una trattoria rinomata per cose sane e tradizionali. Tutt’attorno alle pareti ricordo un’infinità di lavori, disegni realizzati con la penna a sfera, ma anche tele con pitture astratto-informali.
Gli studi fatti di incisione e litografia gli hanno conferito un segno sicuro, con cui da’ plasticità alle forme, forme per lo più in movimento, che si alimentano della gestualità e dell’inesauribile energia dell’artista.
Caratteristica della sua pittura è la ricerca di profondità resa con addensamenti e rarefazioni di colore e con soluzioni imprevedibili.

Mazzullo Mimma, nata a Palmi di Reggio Calabria, vive a Modena. Ha conseguito il diploma all’Istituto Statale d’Arte e si è dedicata alla pittura. Una pittura inizialmente di carattere figurativo e tesa a catturare la poesia della sua terra e la bellezza del mare che lambisce le coste. Penso che proprio il tema del mare rappresentato con veloci e libere stesure materiche abbia condotto l’artista alla pittura informale. Ecco allora apparire nelle sue tele modulazioni di colore che arriva anche a farsi diafano. In un’opera esposta riappare un volto, celato, improvviso, simile all’animo dell’artista che vive nel profondo il proprio lavoro.

Rychlik Renata è un’artista di Cracovia, città dove ha compiuto gli studi di arte ed universitari nell’ambito dell’animazione culturale. Ha organizzato mostre e scambi culturali-artistici tra Italia e Polonia ed ha esposto in mostre personali e collettive, all’estero e in Italia. In pittura si esprime in senso figurativo cogliendo sia importanti scorci cittadini (Cracovia, come nelle tele esposte) sia sentieri di aperta campagna creando angolature di grande effetto. Sulla tela valorizza le atmosfere di luce e le nebbie diffuse. L’uso di colori non naturalistici conferisce ai suoi lavori una dimensione metafisica, quasi di sogno.

Non posso non esprimere la mia ammirazione verso Stefano Sichel, artista che si è sempre messo in gioco vivendo a tutto tondo il suo percorso in arte. Nel lontano 1995 fonda insieme ad altri artisti il Movimento del Transvisionismo con un vero e proprio manifesto. Procede poi nel suo cammino con la galleria a Castell’Arquato dove tanti pittori e scultori hanno trovato lo spazio per farsi conoscere. La Galleria ha avuto anche un ruolo di promozione di eventi culturali nella cittadina.
Nei lavori di Sichel appare l’energia e la poetica del Transvisionismo, la sua pittura si esprime in scintillanti architetture di colore, nelle tonalità del blu, del giallo e del rosso. Una pittura astratto informale che si nutre del gesto e della materia e si sviluppa secondo un moto ondoso e fluttuante . Il leitmotiv del suo lavoro è la contemplazione della rigogliosa natura delle terre natie.

Trasforini Armando, in arte AMO. Si definisce un pitto-scultore in quanto ama lavorare sulla materia. È un artista concettuale: la vita è un gioco e il gioco o meglio le emozioni che il gioco sviluppa sono la sua cifra espressiva. Tra i cicli di opere sul tema ludico vi sono la serie dei flipper e i lavori su Tex.
Mi piace vedere il nostro pittoscultore come una biglia di flipper che si muove nel flipper-vita secondo il caso, rimbalza, risale, scende e rimbalza ancora. Ecco, questi accostamenti/scontri sono tutto ciò che la creatività di Trasforini coglie e rielabora dal mondo dell’arte, penso a Munari nella progettazione di oggetti, a Van Gogh nell’uso del colore, a Klee nella poesia di certe macchie ed infine alla pop art nella serie di Tex. Qui, aprendo come un libro ogni opera, sono ancora la casualità ed il gioco che ci fanno scoprire nuovi temi e fantasie creati dall’artista.

Jana Zanoskar è nata in Slovenia e si è laureata all’Accademia di Lubiana. Si è quindi trasferita in Italia, in Toscana, dove ha insegnato dagli anni Settanta Discipline artistiche e dove vive immersa nella natura e nell’arte. Le opere esposte in mostra, di natura figurativa, pur con risvolti espressionisti e simbolisti, mostrano quanto sia eclettica nel suo lavoro, ottenendo esiti di grande qualità e seduzione. Appaiono echi picassiani nella scomposizione e nell’intreccio dei corpi e un cenno alle stampe giapponesi nella composizione; i tattoos gli arabeschi profusi sulle tele ci portano al misterioso oriente. Opere non proprio recenti ma estremamente attuali nella narrazione di una umanità un po’ contorta, sofferente, quella umanità che ritroviamo ora.

Vittoria Colpi

Milano, 18 novembre 2021

 

Ricordando Ugo Borlenghi

Mentre scrivo queste righe in memoria di Ugo Borlenghi, amico ed artista a tutto tondo, apprendo che a Fiorenzuola d’Arda, sua città natale e dove ha promosso per tanti anni eventi d’arte sia nel Foyer del Teatro Verdi che nel suo atelier I sassi, gli viene dedicata una mostra fotografica e di sculture, a cura di Mariella Rosi.
Lo scorso marzo mi era giunto un laconico messaggio da Stefano Sichel, direttore del Laboratorio d’arte Transvisionismo di Castell’Arquato: -Purtroppo questa mattina Borlenghi ci ha lasciato-. Ho subito ripensato agli ultimi due incontri con l’artista, peraltro da tempo sofferente.

U. Borlenghi, Forme Silenti, La pietra racconta, fusione in bronzo.

Nel marzo 2018, nell’ambito della Mostra degli artisti contemporanei della Permanente di Milano aveva esposto un dipinto smagliante nella diffusa luce di un sole che tramonta. Il titolo, Ultima luce, mi sembrò avesse già sentore di un addio, anche se il colore intenso dell’arancione era di fatto rasserenante, quasi gioioso. E gioiosa fu la reazione di Borlenghi allorchè uno dei maggiori quotidiani scelse proprio quel dipinto per pubblicizzare l’evento #urbanart della Permanente. Nell’ottobre dello stesso anno in occasione di una rassegna nella Galleria del Transvisionismo ebbi di nuovo modo di salutarlo. Appariva sereno ma molto affaticato. Mi voleva fare dono del libro autobiografico Tra sguardi e pensieri. Mi porse l’unica copia presente in Galleria.

U. Borlenghi al lavoro nel suo studio. Ph. Mariella Rosi – PHOTO ’20

Sfogliandolo, ho compreso come la sua arte, di cui conoscevo bene le sculture, prendesse vita da una complessità di stimoli e conoscenze. Si era infatti cimentato per diletto o per professione nella musica, nella fotografia, nel disegno e pittura. Infine l’approdo all’arte plastica nella quale ha espresso al meglio la sua creatività. Ma anche in questo ambito aveva svolto un lungo tirocinio, lavorando da giovane nella fonderia artistica dell’Arsenale Militare di Piacenza e a Cremona e collaborando poi negli anni Ottanta alla fusione di opere del cileno Sebastian Matta.

U. Borlenghi, Forme Silenti, La pietra racconta, fusione in bronzo.

Dalle iniziali sculture figurative ben presto Borlenghi si era portato ai ricordi e gesti dell’infanzia, quando sul greto dell’Arda cercava sassi e pietre modellate dal tempo e dall’acqua. Forme intrise di storia e di geologia che sono diventate poi il leit-motiv dei suoi lavori, in particolare con l’ ingresso, da socio fondatore, nel neonato movimento del Transvisionismo nel gennaio del 1995.
Teso a svolgere un’arte che andava oltre la semplice visione dell’opera verso una personale e intima riflessione, Borlenghi è giunto a cogliere il silenzio espressivo della materia, un silenzio interrotto solo da sapienti patinature sul bronzo o da lievi sfumature di colore sul legno levigato, fosse pioppo, mogano o afromosia. Sculture che egli ha intitolato “Forme Silenti”, e che, curiosamente, pur firmate e datate nel loro corpo, considerava senza data, come totem, simboli destinati alla trascendenza.

(da Che Vi Do!, periodico del Pane Quotidiano, dicembre 2020)

La pittura veneziana a Milano con Giambattista Tiepolo ( da viveremilano.info)

A Milano presso le Gallerie d’Italia di Piazza Scala è stata inaugurata la mostra “Tiepolo. Venezia, Milano, L’Europa”, a cura di F. Mazzocca e A. Morandotti, nella ricorrenza dei duecentocinquanta anni dalla morte dell’artista nato a Venezia nel 1696 e spentosi a Madrid nel 1770. Giambattista Tiepolo da giovane ammira e fa propri gli sfarzi e le architetture delle tele del Veronese e perviene ad una pittura celebrativa, ricca di colore e di soluzioni originali, definita dagli storici tardo barocca. Al sopraggiungere però del clima artistico neoclassico, egli viene di fatto dimenticato. In pieno Romanticismo, come ha affermato il prof. G. Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, nella presentazione dell’evento, è F. Hayez a riscoprire la versatilità della pittura del Tiepolo e in tempi più recenti, ad esempio nella mostra del 2019 presso la Staatsgalerie di Stoccarda, gli è stato riconosciuto un forte contributo alla diffusione in Europa della tradizione decorativa veneziana.

G. Tiepolo, Apollo conduce al Genio germanico la sposa Beatrice di Burgundia, 1751, olio su tela, Staatsgalerie Stuttgart. © 2020 Foto Scala Firenze

All’inizio del Settecento Venezia si trova in un declino economico che la renderà terra di conquista da parte dei francesi sul finire del secolo. La Serenissima non è più in grado di fare mecenatismo ed ora sono gli ordini religiosi e le famiglie nobili i maggiori committenti per gli artisti locali. Il Tiepolo si forma in questo contesto. In mostra oltre a studi di figure in movimento di alcuni partecipanti dell’Accademia del Nudo, sono esposti i suoi primi lavori con soggetti mitologici o religiosi, come “Il martirio di San Bartolomeo”, 1722, realizzato per la Chiesa di San Stae. Ma l’impegno maggiore del Tiepolo è per gli affreschi nei soffitti di palazzi, dei Sandi o degli Zenobio, o di chiese dove il suo stile compositivo si esprime con poche figure luminose al centro che definiscono il tema e tante altre, anche di divinità, che affollano i lati del dipinto. È quanto ad esempio si può ammirare a Palazzo Clerici di Milano nell’affresco “La corsa del carro del Sole” realizzato nel 1740.

G. Tiepolo, Naufragio di San Satiro, 1737, affresco riportato su tela, Basilica di sant’Ambrogio, Milano. ©Ph. Luigi Parma

Estremamente creativo, Tiepolo già nel 1731, poco più che trentenne, era a Milano per decorare in Palazzo Archinti i soffitti di cinque stanze, affreschi andati distrutti nei bombardamenti del 1943. Quindi era tornato nel 1737 per lavorare nella Basilica di Sant’Ambrogio, chiamato dal Cardinale Erba Odescalchi, e nella sala d’armi del Palazzo Gallarati Scotti dove insieme a Carlo Innocenzo Carloni aveva realizzato scene di guerra. La rassegna giustamente pone in rilievo l’attività del Tiepolo nel capoluogo lombardo, considerato la sua seconda patria, e consente al pubblico di ammirare alcune opere milanesi restaurate per l’occasione.

Anche a quei tempi c’erano personaggi che si potevano definire uomini di gusto, in grado infatti di orientare i gusti del pubblico, quelli che ora noi chiameremmo influencer. Tra questi Francesco Algarotti, filosofo e letterato, che si accosta al Tiepolo e lo aiuta a fare un salto di notorietà a livello internazionale. Così negli anni 1751-1753 l’artista è in Germania a Würzburg nella residenza del principe vescovo von Greiffenclau, dove sviluppa nel soffitto della Kaisersaal vicende della vita del Barbarossa, dall’investitura al suo matrimonio. In mostra i dipinti ad olio su tela: “Apollo conduce al Genio germanico la sposa Beatrice di Burgundia”, 1751, della Staatsgalerie di Stoccarda e “Banchetto di Antonio e Cleopatra”, 1746 della National Gallery, sempre inerente al tema del matrimonio.
Raggiunge quindi Madrid, nel 1762, chiamato da Carlo III Borbone, per decorare a Palazzo Reale il soffitto della Sala del Trono. Qui, aiutato dai figli Giandomenico e Lorenzo, esegue l’affresco “Gloria della Spagna tra Minerva e Apollo e negli anni successivi alcune pale d’altare, tra le quali “San Francesco d’Assisi riceve le stimmate”, olio su tela, 1967-’69, ora al Prado. A Madrid la sua morte improvvisa.

G. Tiepolo, San Francesco d’Assisi riceve le stimmate, 1767-1769, olio su tela, Madrid. ©Museo Nacional del Prado

Con questa rassegna, in programma fino al 21 marzo 2021 e al momento chiusa al pubblico per le norme sul Covid, i curatori hanno inteso anche porre a confronto la pittura del Tiepolo con quella di altri artisti a lui coevi e con opere significative. Se il Piazzetta si caratterizza per la sua concretezza plastica, Sebastiano Ricci e Antonio Pellegrini introducono scene dinamiche e colori luminosi che affascinano il Tiepolo. Da ultimo il confronto tra Giambattista e Giandomenico, tra padre e figlio. Di quest’ultimo viene esposto il lavoro “Abramo e i tre Angeli”, 1773, della Galleria dell’Accademia, una tela più classicheggiante, semplice nella composizione e ricca di introspezione. Sarà Giandomenico nella sua vasta produzione a realizzare l’affresco “Mondo Novo”, ora a Ca’ Rezzonico. Non più apparati celebrativi, non più spazi illusori, solo la descrizione con sarcasmo della gente che lo circonda.

 

 

 

 

 

 

Una storia di sempre: Pinocchio

Il personaggio di Pinocchio in questi ultimi mesi è tornato alla ribalta. E non solo per il film di Matteo Garrone, uscito in dicembre, rispettoso del testo e capace di svolgere con scene di forte intimismo un bel racconto d’amore tra padre e figlio. Qui Geppetto è Roberto Benigni, a sua volta regista ed interprete di Pinocchio, con vena tutta toscana, nel film realizzato nel 2002.
A fine ottobre scorso a Villa Bardini di Firenze è stata anche inaugurata la rassegna: Enigma Pinocchio. Da Giacometti a LaChapelle. Una grande storia italiana, con prestiti di opere da Fondazioni, quali Guggenheim, Nazionale Carlo Collodi, Giacometti di Parigi e da numerose collezioni private. La mostra curata da Lucia Fiaschi ha riportato l’attenzione sul burattino di Collodi e sul modo in cui famosi artisti l’hanno rivisitato.

foto di scena: Pinocchio e Colombina, museodeltessuto.it

Era il luglio del 1881 quando nel periodico Giornale per i bambini, stampato a Roma, usciva la prima puntata di Le avventure di Pinocchio, con il titolo Storia di un burattino. L’autore Carlo Lorenzini, con lo pseudonimo di Collodi in omaggio al paese del nonno materno dove aveva trascorso parte dell’infanzia, aveva da poco tradotto dal francese un corpus di note favole. Nato nel 1826 a Firenze, primo di una nidiata di fratelli e sorelle, aveva avuto un’ottima istruzione, grazie alla famiglia Ginori e ad un periodo nel seminario di Colle Val d’Elsa. Competente in musica, teatro e letteratura, generi di cui scriveva, era entrato nella stesura di un dizionario di lingua italiana parlata, nel 1868.
Nelle intenzioni di Collodi la storia a puntate di Pinocchio si sarebbe conclusa con l’impiccagione del burattino ad opera degli “assassini”, ma, per accontentare i suoi lettori egli dovette procedere nel racconto fino alla trasformazione del protagonista in un bambino diligente e premuroso verso il proprio padre. Il romanzo completo veniva stampato nel 1883 e, da allora, è stato tradotto in tutto il mondo e messo in scena negli States da Walt Disney nel 1940. Leggi tutto “Una storia di sempre: Pinocchio”

Arte Sacra Francese al Museo Diocesano (da Vivere Milano)

“Gauguin Matisse Chagall – La Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani” è il titolo della mostra inaugurata al Museo Diocesano Martini, in programma fino al 17 maggio prossimo. Ma la rassegna presenta un numero di artisti francesi ben più vasto. Essa riguarda infatti un periodo di rinnovamento dell’arte sacra in Francia tra il XIX e il XX secolo e trae vita dalla Collezione d’arte contemporanea voluta da Montini fin dalla sua ascesa al soglio pontificio nel 1963.

M. Chagall, Le Christ et le peintre,1951© Governatorato-SCV-Direzione dei Musei

Paolo VI riteneva l’arte capace di esprimere appieno il legame con il sovrannaturale e, grazie all’amicizia con Roncalli, nunzio apostolico nella capitale francese dal 1944 al ‘58, ha frequentazioni con ambienti cattolici e artistici parigini, arrivando a raccogliere quasi 800 opere. Alla sua morte, nell’agosto del ‘78, la collezione diventa legato testamentario ai Musei Vaticani e negli anni successivi essa si amplia sempre più al punto che la Santa Sede partecipa alle recenti edizioni della Biennale di Venezia.
Il percorso della mostra prende il via dalla figura della Vergine, origine del mistero di Cristo, con L’Annonce faite à Marie, 1927, xilografia del simbolista Maurice Denis dove sullo sfondo si intravvede il Golgota, e con il dipinto del giapponese Léonard Tsuguharu Foujita che si avventura nell’iconografia cristiana mantenendo la pittura piatta delle stampe giapponesi. Poi è la rappresentazione di processioni, dalla xilografia di Paul Gauguin al dipinto di Auguste Chabaud del 1920, interessante per la poetica del cloisonnisme, che ci portano idealmente al Golgota. Il volto di Cristo, la Crocifissione e la Deposizione sono interpretati magistralmente da grandi quali Rouault, Matisse, Gauguin e dall’ebreo Chagall con i delicati acquerelli Christ et le peintre e Pietà rouge, rispettivamente del 1951 e 1956. Leggi tutto “Arte Sacra Francese al Museo Diocesano (da Vivere Milano)”

Santi e territorio lombardo a Cinisello

Presso il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, con sede a Villa Ghirlanda, nel cuore verde della cittadina, si è inaugurata il 1° novembre, festa di Ognissanti, un’insolita mostra dal titolo Tra il cielo e terra – Il paesaggio lombardo attraverso gli occhi dei Santi.

Dove posa lo sguardo La Madonnina con le coccarde, Briosco, MB, foto di A. Besana

Un progetto di fotografia partecipata che parte indietro nel tempo, su idea dell’artista Claudio Beorchia e a cura di Matteo Balduzzi, prendendo in considerazione da un lato una “mappatura” del sacro, ovvero edicole, sculture e affreschi votivi, richiamo alle tradizioni del nostro paese, dall’altro quei luoghi, strade, vie o sentieri in cui questi simboli religiosi si sono inseriti nel tempo con la loro dimensione spirituale rasserenante.

Attori nel progetto sono stati quegli abitanti lombardi, fotografi più o meno esperti, che hanno colto con l’obiettivo scorci urbani o paesaggi circostanti, precisamente quelli ai quali era indirizzato lo sguardo di dolci Madonne e Santi.

Altarino votivo

Le numerose fotografie raccolte, in tutto 2921, hanno quindi dato vita alla rassegna che si snoda sui tre piani del museo. All’ingresso è posto l’archivio digitale del lavoro svolto grazie ad una mappa navigabile della Lombardia; al primo piano vi è una videoinstallazione con 800 dittici, ovvero le edicole e ciò che gli occhi dei Santi vedono; infine si accede ad una carrellata scelta di novanta foto che raccontano la trasformazione nel tempo del territorio regionale e che daranno vita ad un prezioso e piccolo volume edito da Viaindustriae di Foligno. Con grande cura le immagini esposte sono state incorniciate da cartoncini che richiamano fedelmente la struttura delle nicchie o i contorni delle sculture votive. Leggi tutto “Santi e territorio lombardo a Cinisello”

L’Adorazione dei Magi di Artemisia al Museo Diocesano

Il progetto Un capolavoro per Milano presso il Museo Diocesano Carlo Maria Martini è giunto alla dodicesima edizione e come per gli ultimi tre anni il tema scelto è l’Adorazione dei Magi. Dopo aver ammirato da vicino le opere di Dürer, Perugino e Veronese, quest’anno l’autore scelto è Artemisia Gentileschi, con un dipinto di grandi dimensioni concesso in prestito dalla Diocesi di Pozzuoli.
Nella rassegna, una serie di tavole ci avvicinano alla grandezza della pittrice ed a una fruizione approfondita dell’opera dal punto di vista iconografico e storico.
Tanto è stato scritto su Artemisia Gentileschi (Roma 1593 -Napoli post 1654), femminista ante litteram: sul padre autoritario che le insegnava i segreti della pittura costringendola tuttavia a rimanere fra le mura domestiche, proprio dove adolescente viene violentata dall’aiutante del padre; ed ancora sulla difficoltà di farsi largo in un’arte considerata appannaggio degli uomini…. . È merito del critico Roberto Longhi, che quasi un secolo fa ha studiato il lavoro di Artemisia in quanto artista e non donna, averla collocata nella cerchia dei pittori più celebrati e richiesti del suo tempo. Leggi tutto “L’Adorazione dei Magi di Artemisia al Museo Diocesano”

Emilio Vedova by Georg Baselitz a Venezia (da Che Vi Do!, courtesy A. Rho)

C’è un luogo di Venezia che, a mio avviso, è incantevole per l’ampio panorama,
l’acqua che scorre e i suoi silenzi, quando non passano vaporetti o le enormi e nefaste navi da crociera trainate da rimorchiatori. È il Canale della Giudecca con le sue rive tutte percorribili, suddivise in Fondamenta nell’isola omonima e Zattere sulla riva opposta, dove si stende il chilometro dell’arte fino a Punta della Dogana con la Fondazione Pinault. Camminando qui ci si imbatte nei Magazzini del Sale, edificati nel Quattrocento, con nove portali ed altrettanti spazi allungati all’interno.
Emilio Vedova (1919-2006) amava molto questo sestiere di Venezia, aveva lo studio proprio negli ambienti grezzi, quasi minimali dei magazzini e si prodigò molto per salvarli dalla demolizione negli anni Settanta. Uno di questi, restaurato nel 2009 dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova su progetto di Renzo Piano, è lo spazio espositivo delle opere del Maestro, e qui, per celebrarne il centenario della nascita, nell’aprile scorso si è inaugurata la mostra “Emilio Vedova by Georg Baselitz”.
I due artisti si sono conosciuti nei primi anni Sessanta nella Berlino ancora divisa dal muro e tra loro è nata una grande e duratura amicizia. A quell’epoca, Vedova, pittore ed incisore autodidatta, aveva alle spalle forti esperienze di vita, come la Resistenza, nonché di confronto artistico: firmatario del manifesto “Oltre Guernica”, si era portato dalle geometrie nere postcubiste ad una pittura astratta, gestuale con cui esprimeva liberamente i suoi sentimenti di protesta sociale. Aveva già realizzato diverse serie di opere, come i Plurimi, forme spezzate dipinte su entrambi i lati e poste nello spazio in modo da poter essere osservate nella loro completezza, e i Collage, conglomerati di carta, legno e ferro. Leggi tutto “Emilio Vedova by Georg Baselitz a Venezia (da Che Vi Do!, courtesy A. Rho)”

Scultura a Milano ( da Vivere Milano)

A. Canova, Ebe, 1800- 1805, marmo e bronzo, Museo Ermitage San Pietroburgo

Milano sta per accogliere due eventi di rilievo che riguardano la scultura.
Infatti dal 25 ottobre Gallerie d’Italia – Piazza Scala inaugura Canova -Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna continuando in modo virtuale quella competizione tra i due grandi artisti che ebbe come palcoscenico la città di Roma verso la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento.
In contemporanea, la Galleria d’Arte Moderna di Milano, con Canova. I volti ideali, prosegue il percorso sul grande artista con una serie di opere tarde, molto richieste dalla committenza ma anche regalate dal Canova ai diplomatici inglesi che lo avevano aiutato nel recupero del patrimonio artistico italiano sottratto dalle truppe napoleoniche. Si tratta di numerose effigi femminili elaborate in senso mitologico, come la Musa Clio, Elena di Troia, busto proveniente dall’Hermitage di San Pietroburgo, le Vestali, tema che avrà un grande successo nell’Ottocento fino al simbolista Wildt.
Ma torniamo alla tenzone tra Antonio Canova (1757-1822) e Bertel Thorwaldsen (1770-1844).

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